mercoledì 18 giugno 2014

Anteprima Corbaccio: Intenso come un ricordo di Jodi Picoult + Prologo!

Editore: Corbaccio
Autore: Jodi Picoult
Titolo: Intenso come un ricordo
DA GIUGNO IN LIBRERIA
500 pagine - 16,40 euro
Josef Weber è un vecchietto adorabile ma che in realtà nasconde un atroce segreto…

Sage Singer è una ragazza solitaria. Evita ogni contatto col mondo, nasconde il proprio volto sfregiato in seguito a un incidente, si rifugia in una relazione clandestina con un uomo sposato. Ha scelto di fare la panettiera, soprattutto per lavorare di notte, nell’isolamento della sua cucina. L’unico a fare breccia nella prigione quotidiana in cui si è rinchiusa Sage è un anziano signore di origine tedesca, Josef Weber, benvoluto da tutti nella piccola comunità in cui vive. Ma un giorno Josef rivela alla ragazza un segreto terribile, confessandole il suo passato di ss e carnefice ad Auschwitz. Non solo, le chiede il perdono per i suoi crimini e, infine, di aiutarlo a morire. Sage, di famiglia ebraica ma atea, è tormentata da un dilemma atroce: sua nonna, Minka, è una sopravvissuta dei campi di concentramento, e solo settant’anni dopo quell’esperienza svela alla nipote il baratro in cui è sprofondata durante la deportazione.

Come si può reagire quando si capisce che la persona che ha di fronte incarna il male assoluto? E’ possibile cancellare un passato criminoso con un comportamento irreprensibile? Si ha il diritto di offrire perdono anche se non si è la vittima diretta di un’ingiustizia? E… qualora Sage accogliesse la richiesta di Weber, si tratterebbe di vendetta… o di giustizia?

Più voci narranti si alternano nella scrittura di Jodi Picoult, come sempre magistrale nel riannodare il filo dei ricordi sepolti nel passato e delle emozioni che agitano il presente. E la chiave, ancora una volta, sta nella potenza della narrazione: «Un racconto può essere molto potente. Può cambiare il corso della storia. Può salvare una vita. Ma può anche essere un buco nero, o le sabbie mobili, in cui si rimane impantanati, incapaci di scrivere per liberarsi». Sta a noi, alla nostra coscienza, scegliere la strada da prendere.


Come Il profumo delle foglie di limone di Clara Sanchez e
Volevo solo averti accanto di Ronald Balsom,
un romanzo di rara forza e potenza, che colpisce come un pugno nello stomaco e ci regala una prospettiva del tutto nuova sull’Olocausto.

«Questo mio libro è veramente diverso da tutti gli altri che ho scritto. ci ho messo tutta me stessa.» Un romanzo unico, l’autrice spiega perché:

So che ci sono milioni di libri sull’Olocausto, ma come figlia di genitori ebrei e come scrittrice, credo di avere il dovere di dare voce a tante storie, storie che ancora aspettano una voce, e lo faccio nel modo che mi riesce meglio.

Un terzo del romanzo si svolge più di settant’anni fa. Lo spunto mi è venuto dalla lettura di Il girasole di Simon Wiesenthal, nel quale l’autore racconta la sua prigionia in un campo di concentramento e di quando fu portato al cospetto di un nazista in punto di morte che voleva confessare le atrocità commesse e ottenere il perdono da un ebreo. Il dilemma etico che ha dovuto affrontare Wiesenthal è stato oggetto di innumerevoli analisi filosofiche e morali sulle dinamiche esistenti tra le vittime del genocidio e i carnefici, e mi ha fatto pensare a cosa sarebbe successo se la stessa richiesta di perdono venisse fatta molti decenni dopo alla nipote di una vittima.

Per scriverlo non solo ho letto centinaia di testimonianze, ma ho personalmente intervistato i sopravvissuti o i loro figli e nipoti. Ho ascoltato storie terribili, come quella del piccolo Bernie che si è fatto promettere dalla madre che gli avrebbero sparato nel petto e non in testa… Vi immaginate come si sente una madre che deve fare una promessa simile? O di Gerda, sopravvissuta alle marce della morte solo perché il padre era riuscito a dirle, prima che li prendessero, di non mettersi le scarpe normali ma gli scarponi da montagna. O Mania, scampata alle selezioni perché parlava il tedesco ed era incappata in un ufficiale nazista che tentava di proteggere gli ebrei che lavoravano per lui…

Jodi Picoult, la regina delle classifiche americane, vive ad Hanover, New Hampshire, con il marito e i tre figli.
• Nel 1992 ha scritto il suo primo libro. Da allora ha scritto 23 romanzi.
• I suoi libri sono pubblicati in 35 paesi.
• Ha vinto numerosi premi letterari fra cui il New England Bookseller Award for Fiction, il Book Browse Diamond Award, il Fearless Fiction Award, il Virginia Reader’s Choice Award e molti altri ancora americani e inglesi.
• Intenso come un ricordo, in pochi mesi, ha venduto Negli Stati Uniti più di 1 milione di copie.
• In Italia, Corbaccio ha pubblicato La custode di mia sorella, Il colore della neve, Senza lasciare traccia, Diciannove minuti, Un nuovo battito, La bambina di vetro, Le case degli altri e L’altra famiglia (tutti anche in edizione TEA).

Leggi il prologo di Intenso come un ricordo
Mio padre mi aveva affidato i dettagli della sua morte. «Ania» diceva, «niente acquavite al mio funerale. Voglio il miglior vino di more. E ricordati, niente lacrime. Solo balli. E quando mi caleranno nella terra, voglio una fanfara di trombe, e farfalle bianche.» Un bel tipo, ecco chi era mio padre. Era il fornaio del villaggio, e tutti i giorni, oltre alle pagnotte per i clienti, mi preparava un panino dolce tanto squisito quanto unico: intrecciato come la corona di una principessa, nel cui impasto si mescolavano la dolcezza della cannella e il cioccolato più intenso. L'ingrediente segreto, diceva, era il suo amore per me, e questo gli dava un sapore più buono di qualsiasi altra cosa che avessi mai mangiato.
Vivevamo ai margini di un villaggio così piccolo che tutti si conoscevano per nome. La nostra casa era fatta di pietre del fiume, con un tetto di paglia; il focolare dove mio padre cuoceva il pane riscaldava anche le stanze. Io sedevo al tavolo della cucina, sgusciando i piselli che coltivavo nel piccolo orto sul retro, mentre mio padre apriva lo sportello del forno di mattoni e faceva scivolare dentro la pala, per poi estrarne croccanti pagnotte rotonde. Le braci rosse scintillavano, delineando i muscoli forti della sua schiena coperta di sudore sotto la casacca. «Non voglio un funerale d'estate, Ania» mi diceva. «Invece fai in modo che muoia in una giornata fresca, quando c'è una bella brezza. Prima che gli uccelli volino a sud, così potranno cantare per me.»
Io fingevo di prendere nota delle sue richieste. Quella macabra conversazione non m'infastidiva: mio padre era troppo forte perché io potessi prendere sul serio simili raccomandazioni. Qualcuno, in paese, trovava strana la relazione tra me e mio padre, e la nostra abitudine di scherzare su certi argomenti, ma mia madre era morta quando ero ancora in fasce, così lui e io eravamo tutto l'uno per l'altra.
I guai cominciarono il giorno del mio diciottesimo compleanno. All'inizio erano stati soltanto i contadini a lamentarsi: quando erano usciti a dar da mangiare alle galline, avevano trovato un'esplosione di piume insanguinate nel pollaio, o un vitello quasi sventrato con le mosche che ronzavano intorno alla carcassa. «Una volpe» aveva sentenziato Baruch Beiler, l'esattore delle tasse, che abitava in una ricca dimora situata in fondo alla piazza del paese come un gioiello al collo di un membro della famiglia reale. «Forse un gatto selvatico. Pagate quello che dovete, e in cambio verrete protetti.»
Un giorno si presentò da noi cogliendoci impreparati, e con questo intendo dire che non riuscimmo a sbarrare le porte, spegnere il fuoco e fingere di non essere in casa. Mio padre stava impastando delle pagnotte a forma di cuore, come faceva sempre per il mio compleanno, perché tutto il paese sapesse che era un giorno speciale. Baruch Beiler s'intrufolò in cucina, alzò il bastone da passeggio con il pomo dorato e lo sbatté sul banco da lavoro. Si levò una nuvola di farina e, quando si depositò, guardai l'impasto tra le mani di mio padre: un cuore spezzato.
«Per favore» disse mio padre, che non implorava mai nessuno. «So cosa ho promesso. Ma gli affari non vanno benissimo. Se mi lasciaste solo un po' più di tempo...»
«Siete inadempiente, Emil» replicò Beiler. «Ho un'ipoteca su questa topaia.» Si chinò, avvicinandosi a lui. Per la prima volta in vita mia, mio padre non mi sembrò invincibile. «Dato che sono un uomo generoso e magnanimo, vi do tempo sino alla fine della settimana. Ma se non vi presentate con il denaro, be', non so cosa potrebbe accadere.» Alzò il bastone, facendolo scivolare tra le mani come un'arma. «Ci sono state tante... disgrazie, ultimamente.»
«È per questo che ci sono così pochi clienti» intervenni, con un filo di voce. «La gente non viene al mercato perché ha paura dell'animale là fuori.»
Baruch Beiler si voltò, come se si fosse accorto solo in quel momento della mia presenza. Mi squadrò, e i suoi occhi passarono dai miei capelli scuri raccolti in un'unica treccia agli scarponi di cuoio che avevo ai piedi, con i buchi rappezzati da spesse toppe di flanella. Il suo sguardo mi diede i brividi, ma non come quando Damian, il capitano delle guardie, mi osservava mentre attraversavo la piazza del paese, come se io fossi il topo e lui il gatto. No, questo era uno sguardo più venale. Baruch Beiler sembrava stesse cercando di capire quanto potessi valere.
Sbirciò la griglia alle mie spalle, con l'ultima infornata di pagnotte lasciate a raffreddarsi, arraffò un pane a forma di cuore dallo scaffale e se lo mise sotto il braccio. «Pegno» dichiarò, e uscì dalla casetta lasciando la porta spalancata, semplicemente perché poteva permettersi di farlo.
Mio padre lo guardò andare via, poi alzò le spalle. Prese un'altra manciata di pasta di pane e iniziò a modellarla. «Ignoralo. È un piccolo uomo che proietta una grande ombra. Un giorno o l'altro ballerò sulla sua tomba.» Poi si girò verso di me, con un sorriso che gli addolciva il volto. «Questo mi fa venire in mente una cosa, Ania. Al mio funerale, voglio un corteo. Prima i bambini, che lanciano petali di rosa. Poi le donne più belle, con gli ombrellini colorati come fiori di serra. Poi naturalmente il mio carro funebre, tirato da quattro.. no, cinque cavalli candidi come la neve. Infine, vorrei che Baruch Beiler chiudesse il corteo, spazzando via il letame.» Rovesciò il capo e rise. «A meno che, ovviamente, lui non muoia per primo. Il più presto possibile.»
Mio padre mi aveva affidato i dettagli della sua morte... ma quando arrivai, era troppo tardi.

Allora? Che ne dite? A me incuriosisce, e tanto anche! 

 Vincenzo.

2 commenti:

 

Template by BloggerCandy.com